martedì 6 dicembre 2016
giovedì 10 novembre 2016
La fiamma racchiusa nel ghiaccio
Terzo classificato al concorso letterario "Portovenere - Golfo dei Poeti" sezione infanzia 2016
In
procinto di visitare la bella città di Londra, il giovane Max stringe amicizia
con uno strano personaggio amante di merendine all’olio di oliva. Lo sventurato
visitatore è stato cacciato dal suo villaggio.
Una
meravigliosa avventura di amicizia che a tratti commuove, arricchita di mistero,
mostri e grotte. In questo nuovo straordinario fantasy per ragazzi e adulti,
l’autrice di “I curiosi casi di Mazavara e Fiammabianca”, ancora una volta
regala emozione, commuove e riesce a penetrare a fondo nell’animo umano.
Titolo | La fiamma racchiusa nel ghiaccio
Autore | Elena Maneo
Immagine di copertina | © Elena Maneo
ISBN | 9788892638556
Prima edizione digitale: 2016
© Tutti i diritti riservati all’Autore
Youcanprint Self-Publishing
Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)
info@youcanprint.it
www.youcanprint.it
TRATTO DAL LIBRO
1 - Il bagno condiviso
GomePay era un piccolo paese situato a sud della capitale britannica. Ogni strada grigia racchiudeva una sua storia antica, dove immagini di donne e uomini erano rimasti a lungo a chiacchierare del più e del meno. Ancora si scorgevano le impronte delle scarpe, oramai gocce d’ombra. I marciapiedi avevano visto facce spente e solitarie, simili a maschere di plastica. Adesso, alcune di quelle stradine, erano chiuse al traffico per via di un terribile cataclisma. Ma c’erano i “guardiani”, alberi muti, a consolare gli abitanti, e naturalmente la natura, che svettava verso il cielo e sembrava un grande semaforo di color verde smeraldo. Tutto questo era GomePay.
Quel giorno gli uccelli in volo emettevano vagiti come se fossero fragili neonati. Le uniche vie rimaste, sfumate di ardesia, accompagnavano file di case graziose come damigelle in attesa del futuro principe azzurro. Ville e villette ornavano sentieri terribilmente stretti e lunghi. Bizzarri erano anche alcuni palazzi, contrassegnati da numeri, che sembravano formare un problema di matematica di livello superiore.
Max con una velocità impressionante posteggiò l’auto nel parcheggio indicato dall’usciere dell’albergo. Rimase per un po’ a osservare la sua immagine riflessa nello specchietto retrovisore. Mostrava un giovanotto sereno, poco più di trent’anni, con qualche pennellata d’argento che coloriva le basette. Una capigliatura color castagna non aveva bisogno di gel o altri prodotti di bellezza per mantenere la piega sempre curata. Grinze sul volto lo rendevano affascinante e uomo maturo, e l’aria da bravo ragazzo, frenava la spavalderia di cui spesso si vantava. La fronte marcata e due occhi azzurrissimi con lunghe ciglia nere, che planavano su ogni brusco movimento della natura circostante. Spalle robuste, con la pancetta che ogni tanto si mostrava, specie quando indossava magliette strette. Dopotutto, l’uomo semplice e attraente in lui non si poteva lamentare di niente e l’età contava giusto quel tanto a definire i capitoli della vita.
Dopo essersi ammirato allo specchio, prese il suo gigantesco zaino e scese dall’auto. Immediatamente la frescura del luogo penetrò nei vestiti come granelli di sabbia, facendo rabbrividire la pelle liscia.
Sebbene fosse l’inizio di settembre, valutò che erano troppo leggeri per quella temperatura fredda e inattesa. Sua sorella Marta aveva preparato il bagaglio immaginando un clima molto più mite. Pazienza! Voleva bene a sua sorella, anche se era troppo pignola per certe cose.
Si aiutavano a vicenda, non conoscevano la parola litigio e si sostenevano nel momento del bisogno. Da ragazzini avevano condiviso giocattoli, dolciumi e cancelleria per la scuola, e alle volte facevano viaggi insieme per coltivare di più i vari aspetti culturali. E rammentando le tradizionali parate viste in varie città, si incamminò lungo il marciapiede.
All'apparenza sembrava tutto tranquillo: le vie carrozzabili, veicoli carmini, cani e gatti fare avanti e indietro. I luoghi di sosta per le auto erano tracciati da candide strisce bianche che davano un effetto quasi da video game. Le sagome dei palazzi torreggiavano sopra di lui, e accompagnavano grottesche ombre sul selciato, mentre cartelli segnaletici eclissati dagli alberi parevano nascondere un segreto. L’insegna di un bar, che pareva uscita dall’epoca degli anni cinquanta, lampeggiava. Un tombino in mezzo alla strada, al passaggio di ogni veicolo, produceva un rumore assordate, come lo scoppio di un palloncino. Aiuole costeggiavano case di un colore vivace, che rendevano più belle le strade desolate.
Un gatto attraversò di corsa le strisce pedonali e si dileguò dietro un bidone della spazzatura, un pezzo di carta era appiccicato sulla ruota di una macchina in sosta e una palla di plastica voltolava sul selciato.
Lungo una trentina di metri, dove vi erano in bella vista bar e negozi, torreggiava l’hotel Yoli. Era una struttura parzialmente nuova ed elegante. Un palazzo di quattro piani con grandi finestre a quadretti beige che da lontano assomigliava più a una tenuta signorile. Una fascia argentata lo incorniciava rendendolo quasi una cartolina illustrata.
Max raggiunse l’albergo e vi entrò con naturalezza.
Un tappeto scarlatto di velluto ricopriva la parte destra dell’entrata, mentre il resto nudo del pavimento di marmo lucido rifletteva l’ombra del suo cammino.
Un piccolo banco di legno pregiato sorgeva lungo la corsia. Elegante, raffinato, sfoggiava ninnoli, sonagli, portapenne di porcellana, fogli di carta, e un computer acceso mandava dei misteriosi bip.
Una signorina con una chioma riccia, si muoveva dietro il tavolo. Indossava un completo scuro, e una camicia bianca si scorgeva dalla giacca gessata. Gli occhi a mandorla verdi apparivano tristi e assenti, mentre piccole rughe rivelavano un’età matura.
«Salve, sono il signor Max Scotti.» Si avvicinò al tavolo della reception e appoggiò il bagaglio sul lucido pavimento.
«Benvenuto!» lo accolse la donna.
Max eseguì alcune cosucce come da regolamento alberghiero; quali il deposito del documento d’identità per la registrazione, la firma su moduli, eccetera. Poi gli fu assegnata una camera con bagno privato esterno e consegnate le chiavi di accesso.
«Non c’è un ascensore. La camera ventisei si trova al secondo piano a sinistra.» La concierge additò una gradinata, pallida come una bambola di cera.
«Grazie!»
«Nella stanza troverà delle bibite a temperatura ambiente e snack al cioccolato.»
Max ringraziò di nuovo, prese il suo modesto bagaglio e salì la scala. Il rumore dei suoi passi fluttuò nel silenzio e attraversò l’aria carica di elettricità. Raggiunse il secondo piano, dove su un corridoio vi erano due stanze con le porte chiuse immerse nel glauco della tappezzeria. Una doveva essere il bagno esterno.
Un piccolo portavivande era posto a lato destro e un quadrello appeso sulle pareti raffigurava posti architettonici. Una finestrella a fianco ai quadri diede il benvenuto alla sua timida figura. Notò che una delle porte a sinistra mostrava due numeri luminosi: il 2 e il 6.
Introdusse la chiave nella serratura ed entrò.
La cameretta era semplice, pulita e confortevole. Alle pareti erano appese delle locandine incorniciate dei film. Le pareti dalle sfumature di un grigio scuro parevano raccontare chissà quale vicenda complessa. Un armadio incassato al muro era di un bel color avorio lucido, e il letto singolo era coperto da una trapunta rossa. Un tavolo in pietra lavica arricchiva l’arredamento del locale. Su una mensola, accanto alla finestra, delle merendine confezionate troneggiavano come piccole principesse. La camera era comunque carina, anche se la finestra dava su un viottolo tetro. La viuzza metteva i brividi. C’erano sacchetti per l’immondizia dentro un cassonetto, che parevano un raggruppamento di zombie famelici.
Max appoggiò lo zaino sopra il letto e lo aprì. Prese vestiti, calze, magliette e slip. Sistemò le sue cose alla meglio, poi si affacciò alla piccola finestra che dava sul vicolo. Di certo non avrebbe passato l’intera vacanza chiuso dentro la stanza. Per prima cosa sarebbe andato a Londra per vedere lo Shard London Bridge, il famoso grattacielo situato a Southwark; un quartiere londinese nella parte sud della città, e per seconda cosa il British Museum. E poi, non poteva dimenticare di visitare le altre attrazioni turistiche: Buckingham Palace, Big Ben, Hyde Park e i vari musei di storia, d’arte e della scienza.
Purtroppo, l’interessante giro turistico era destinato a non realizzarsi. Una stanchezza improvvisa lo costrinse a rimanere a riposo. Forse il viaggio, l’ora o il cambiamento d’aria, chissà! Ma almeno il bagno, anche se esterno e piccolo, era dotato di accessori in omaggio ai clienti: saponette, shampoo, carta igienica, asciugamani. Il lavandino odorava di lavanda e lo specchio rifletteva una sequenza di numeri all’interno di un quadrato. Era il codice per la cassetta del pronto soccorso in caso di bisogno, scritto su di una lavagna appesa al muro. Il lampadario illuminava a malapena il pavimento piastrellato, scurissimo come la notte che venne.
Da qualche parte, nel buio, qualcosa mormorava e, per quanto si girasse e rigirasse nel letto, Max non riusciva a prendere sonno. Rumori provenivano anche dal bagno esterno, perdinci! E poi, verso le tre del mattino uno scoppio lo fece balzare giù dal letto. Un nuovo orribile crepitio arrivò dal corridoio di fuori.
In un primo momento pensò che fosse stata una lavastoviglie in preda a una crisi meccanica, poi il rumore dello sciacquone allontanò quell’idea assurda. Qualcuno stava usando il wc.
Premette l’interruttore della luce. Non amava certi chiassi nella notte. Rabbrividendo, s’infilò maglia, pantaloni e scarpe alla svelta. Aprì l’armadietto in cerca di qualcosa per difendersi, e afferrò una piccola asta appendiabiti di ferro. Prese le chiavi del bagno sopra il comodino e uscì dalla stanza.
La luce in corridoio era libera di illuminare anche il buco della serratura, e dalla finestra si scorgeva il cielo nero dell’ora notturna. Oramai il suo arrivo era un vago ricordo. Tragitti, itinerari, cartelloni stradali, paesaggi verdi e azzurri erano solo una lunga pagina stampata nella sua mente. E la notte invece era lentissima, declamava la sua presenza, affascinata dal colore che indossava.
Continuò a muoversi nel corridoio, verso la porta del bagno. Era vicina, davvero pochi metri, e incuteva angoscia, come un diabolico gioco virtuale.
A un tratto un altro rumore gli fece venire la pelle d’oca. Il panico lo schiaffeggiò come una sferzata di vento gelido, e il suo stomaco reclamò aiuto. Sentì gocce di sudore solcare la fronte e gli occhi bruciare, come se qualcuno gli avesse gettato addosso del detergente irritante. Ma per fortuna, anche se arrossati per la sonnolenza, i suoi organi visivi reagivano bene.
La porta era semiaperta, e questo gli fece aumentare i battiti del cuore. Entrò in bagno e accese la luce, che colpì uno strano e curioso personaggio.
https://www.youcanprint.it/fiction-generale/la-fiamma-racchiusa-nel-ghiaccio-9788892636712.html
Titolo | La fiamma racchiusa nel ghiaccio
Autore | Elena Maneo
Immagine di copertina | © Elena Maneo
ISBN | 9788892638556
Prima edizione digitale: 2016
© Tutti i diritti riservati all’Autore
Youcanprint Self-Publishing
Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)
info@youcanprint.it
www.youcanprint.it
TRATTO DAL LIBRO
1 - Il bagno condiviso
GomePay era un piccolo paese situato a sud della capitale britannica. Ogni strada grigia racchiudeva una sua storia antica, dove immagini di donne e uomini erano rimasti a lungo a chiacchierare del più e del meno. Ancora si scorgevano le impronte delle scarpe, oramai gocce d’ombra. I marciapiedi avevano visto facce spente e solitarie, simili a maschere di plastica. Adesso, alcune di quelle stradine, erano chiuse al traffico per via di un terribile cataclisma. Ma c’erano i “guardiani”, alberi muti, a consolare gli abitanti, e naturalmente la natura, che svettava verso il cielo e sembrava un grande semaforo di color verde smeraldo. Tutto questo era GomePay.
Quel giorno gli uccelli in volo emettevano vagiti come se fossero fragili neonati. Le uniche vie rimaste, sfumate di ardesia, accompagnavano file di case graziose come damigelle in attesa del futuro principe azzurro. Ville e villette ornavano sentieri terribilmente stretti e lunghi. Bizzarri erano anche alcuni palazzi, contrassegnati da numeri, che sembravano formare un problema di matematica di livello superiore.
Max con una velocità impressionante posteggiò l’auto nel parcheggio indicato dall’usciere dell’albergo. Rimase per un po’ a osservare la sua immagine riflessa nello specchietto retrovisore. Mostrava un giovanotto sereno, poco più di trent’anni, con qualche pennellata d’argento che coloriva le basette. Una capigliatura color castagna non aveva bisogno di gel o altri prodotti di bellezza per mantenere la piega sempre curata. Grinze sul volto lo rendevano affascinante e uomo maturo, e l’aria da bravo ragazzo, frenava la spavalderia di cui spesso si vantava. La fronte marcata e due occhi azzurrissimi con lunghe ciglia nere, che planavano su ogni brusco movimento della natura circostante. Spalle robuste, con la pancetta che ogni tanto si mostrava, specie quando indossava magliette strette. Dopotutto, l’uomo semplice e attraente in lui non si poteva lamentare di niente e l’età contava giusto quel tanto a definire i capitoli della vita.
Dopo essersi ammirato allo specchio, prese il suo gigantesco zaino e scese dall’auto. Immediatamente la frescura del luogo penetrò nei vestiti come granelli di sabbia, facendo rabbrividire la pelle liscia.
Sebbene fosse l’inizio di settembre, valutò che erano troppo leggeri per quella temperatura fredda e inattesa. Sua sorella Marta aveva preparato il bagaglio immaginando un clima molto più mite. Pazienza! Voleva bene a sua sorella, anche se era troppo pignola per certe cose.
Si aiutavano a vicenda, non conoscevano la parola litigio e si sostenevano nel momento del bisogno. Da ragazzini avevano condiviso giocattoli, dolciumi e cancelleria per la scuola, e alle volte facevano viaggi insieme per coltivare di più i vari aspetti culturali. E rammentando le tradizionali parate viste in varie città, si incamminò lungo il marciapiede.
All'apparenza sembrava tutto tranquillo: le vie carrozzabili, veicoli carmini, cani e gatti fare avanti e indietro. I luoghi di sosta per le auto erano tracciati da candide strisce bianche che davano un effetto quasi da video game. Le sagome dei palazzi torreggiavano sopra di lui, e accompagnavano grottesche ombre sul selciato, mentre cartelli segnaletici eclissati dagli alberi parevano nascondere un segreto. L’insegna di un bar, che pareva uscita dall’epoca degli anni cinquanta, lampeggiava. Un tombino in mezzo alla strada, al passaggio di ogni veicolo, produceva un rumore assordate, come lo scoppio di un palloncino. Aiuole costeggiavano case di un colore vivace, che rendevano più belle le strade desolate.
Un gatto attraversò di corsa le strisce pedonali e si dileguò dietro un bidone della spazzatura, un pezzo di carta era appiccicato sulla ruota di una macchina in sosta e una palla di plastica voltolava sul selciato.
Lungo una trentina di metri, dove vi erano in bella vista bar e negozi, torreggiava l’hotel Yoli. Era una struttura parzialmente nuova ed elegante. Un palazzo di quattro piani con grandi finestre a quadretti beige che da lontano assomigliava più a una tenuta signorile. Una fascia argentata lo incorniciava rendendolo quasi una cartolina illustrata.
Max raggiunse l’albergo e vi entrò con naturalezza.
Un tappeto scarlatto di velluto ricopriva la parte destra dell’entrata, mentre il resto nudo del pavimento di marmo lucido rifletteva l’ombra del suo cammino.
Un piccolo banco di legno pregiato sorgeva lungo la corsia. Elegante, raffinato, sfoggiava ninnoli, sonagli, portapenne di porcellana, fogli di carta, e un computer acceso mandava dei misteriosi bip.
Una signorina con una chioma riccia, si muoveva dietro il tavolo. Indossava un completo scuro, e una camicia bianca si scorgeva dalla giacca gessata. Gli occhi a mandorla verdi apparivano tristi e assenti, mentre piccole rughe rivelavano un’età matura.
«Salve, sono il signor Max Scotti.» Si avvicinò al tavolo della reception e appoggiò il bagaglio sul lucido pavimento.
«Benvenuto!» lo accolse la donna.
Max eseguì alcune cosucce come da regolamento alberghiero; quali il deposito del documento d’identità per la registrazione, la firma su moduli, eccetera. Poi gli fu assegnata una camera con bagno privato esterno e consegnate le chiavi di accesso.
«Non c’è un ascensore. La camera ventisei si trova al secondo piano a sinistra.» La concierge additò una gradinata, pallida come una bambola di cera.
«Grazie!»
«Nella stanza troverà delle bibite a temperatura ambiente e snack al cioccolato.»
Max ringraziò di nuovo, prese il suo modesto bagaglio e salì la scala. Il rumore dei suoi passi fluttuò nel silenzio e attraversò l’aria carica di elettricità. Raggiunse il secondo piano, dove su un corridoio vi erano due stanze con le porte chiuse immerse nel glauco della tappezzeria. Una doveva essere il bagno esterno.
Un piccolo portavivande era posto a lato destro e un quadrello appeso sulle pareti raffigurava posti architettonici. Una finestrella a fianco ai quadri diede il benvenuto alla sua timida figura. Notò che una delle porte a sinistra mostrava due numeri luminosi: il 2 e il 6.
Introdusse la chiave nella serratura ed entrò.
La cameretta era semplice, pulita e confortevole. Alle pareti erano appese delle locandine incorniciate dei film. Le pareti dalle sfumature di un grigio scuro parevano raccontare chissà quale vicenda complessa. Un armadio incassato al muro era di un bel color avorio lucido, e il letto singolo era coperto da una trapunta rossa. Un tavolo in pietra lavica arricchiva l’arredamento del locale. Su una mensola, accanto alla finestra, delle merendine confezionate troneggiavano come piccole principesse. La camera era comunque carina, anche se la finestra dava su un viottolo tetro. La viuzza metteva i brividi. C’erano sacchetti per l’immondizia dentro un cassonetto, che parevano un raggruppamento di zombie famelici.
Max appoggiò lo zaino sopra il letto e lo aprì. Prese vestiti, calze, magliette e slip. Sistemò le sue cose alla meglio, poi si affacciò alla piccola finestra che dava sul vicolo. Di certo non avrebbe passato l’intera vacanza chiuso dentro la stanza. Per prima cosa sarebbe andato a Londra per vedere lo Shard London Bridge, il famoso grattacielo situato a Southwark; un quartiere londinese nella parte sud della città, e per seconda cosa il British Museum. E poi, non poteva dimenticare di visitare le altre attrazioni turistiche: Buckingham Palace, Big Ben, Hyde Park e i vari musei di storia, d’arte e della scienza.
Purtroppo, l’interessante giro turistico era destinato a non realizzarsi. Una stanchezza improvvisa lo costrinse a rimanere a riposo. Forse il viaggio, l’ora o il cambiamento d’aria, chissà! Ma almeno il bagno, anche se esterno e piccolo, era dotato di accessori in omaggio ai clienti: saponette, shampoo, carta igienica, asciugamani. Il lavandino odorava di lavanda e lo specchio rifletteva una sequenza di numeri all’interno di un quadrato. Era il codice per la cassetta del pronto soccorso in caso di bisogno, scritto su di una lavagna appesa al muro. Il lampadario illuminava a malapena il pavimento piastrellato, scurissimo come la notte che venne.
Da qualche parte, nel buio, qualcosa mormorava e, per quanto si girasse e rigirasse nel letto, Max non riusciva a prendere sonno. Rumori provenivano anche dal bagno esterno, perdinci! E poi, verso le tre del mattino uno scoppio lo fece balzare giù dal letto. Un nuovo orribile crepitio arrivò dal corridoio di fuori.
In un primo momento pensò che fosse stata una lavastoviglie in preda a una crisi meccanica, poi il rumore dello sciacquone allontanò quell’idea assurda. Qualcuno stava usando il wc.
Premette l’interruttore della luce. Non amava certi chiassi nella notte. Rabbrividendo, s’infilò maglia, pantaloni e scarpe alla svelta. Aprì l’armadietto in cerca di qualcosa per difendersi, e afferrò una piccola asta appendiabiti di ferro. Prese le chiavi del bagno sopra il comodino e uscì dalla stanza.
La luce in corridoio era libera di illuminare anche il buco della serratura, e dalla finestra si scorgeva il cielo nero dell’ora notturna. Oramai il suo arrivo era un vago ricordo. Tragitti, itinerari, cartelloni stradali, paesaggi verdi e azzurri erano solo una lunga pagina stampata nella sua mente. E la notte invece era lentissima, declamava la sua presenza, affascinata dal colore che indossava.
Continuò a muoversi nel corridoio, verso la porta del bagno. Era vicina, davvero pochi metri, e incuteva angoscia, come un diabolico gioco virtuale.
A un tratto un altro rumore gli fece venire la pelle d’oca. Il panico lo schiaffeggiò come una sferzata di vento gelido, e il suo stomaco reclamò aiuto. Sentì gocce di sudore solcare la fronte e gli occhi bruciare, come se qualcuno gli avesse gettato addosso del detergente irritante. Ma per fortuna, anche se arrossati per la sonnolenza, i suoi organi visivi reagivano bene.
La porta era semiaperta, e questo gli fece aumentare i battiti del cuore. Entrò in bagno e accese la luce, che colpì uno strano e curioso personaggio.
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martedì 7 giugno 2016
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